Finalmente, dopo varie battaglie giudiziarie, una giovane signora che, diversi anni fa, era stata ridotta in fin di vita dall'ex fidanzato, ovviamente condannato ma poi risultato nullatenente, è riuscita ad ottenere, con il patrocinio dell'Avv. Giancarlo Lima, una sentenza di condanna dello Stato Italiano, per tardiva applicazione della Direttiva Europea n. 80/2004, un indennizzo quale vittima di un reato violento.
Tuttavia, poichè tale indennizzo non è stato ritenuto equo ed adeguato, così come previsto dalla normativa e dalla Corte di Cassazione, la suddetta sentenza è stata appellata, sempre con il patrocinio dell'Avv. Giancarlo Lima. Vi terremo aggiornati.
Di seguito la sentenza n. 13501/2022 pubblicata il 19/09/2022, che sarà possibile anche scaricare dal link sottostante.
Sentenza n. 13501/2022 pubbl. il 19/09/2022 RG n. 4504/2020 Repert. n. 17693/2022 del 19/09/2022 N. R.G. 4504/2020

REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE ORDINARIO Dl ROMA SEZIONE SECONDA CIVILE
nella persona del Giudice designato dott.ssa Assunta Canonaco, ha emesso la seguente SENTENZA nella causa civile di primo grado, iscritta al n. 4504 del ruolo generale per gli affari contenziosi dell'anno 2020, posta in decisione all'udienza svolta a trattazione scritta del 30.03.2022, vertente T R A elettivamente domiciliata in Roma, via Luigi Capuana n. 10, presso lo o studio dell'Avv. Giancarlo Lima che la rappresenta e difende Lima giusta procura in calce all'atto di citazione ATTRICE E PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI, in persona del Presidente del Consiglio pro tempore, rappresentata e difesa ope legis dall'Avvocatura Generale dello Stato presso i cui Uffici è domiciliata, in Roma, via dei Portoghesi 12 CONVENUTA
OGGETTO: domanda risarcitoria per mancata, non corretta e non integrale attuazione della direttiva 2004/80/CE in materia di indennizzo alle vittime di reati violenti intenzionali. CONCLUSIONI: come da note depositate dalle parti rispettivamente il 21.03.2022 e il 22.03.2022 per l'udienza del 30.03.2022, svolta con le modalità della trattazione scritta.
IN FATTO E IN DIRITTO
Con atto di citazione notificato il 13.01.2020, ........ conveniva in giudizio dinanzi a questo Tribunale la Presidenza del Consiglio dei Ministri, chiedendone la condanna al pagamento in suo favore della somma di euro 1.484.826,50 o "di quella maggiore o minore che risulterà dovuta in corso di causa, oltre interessi legali dalla domanda al soddisfo". A tal fine, l'attrice deduceva che: - era creditrice di condannato con sentenza del GUP del Tribunale di Roma n. 2462/06 (per il delitto tentato omicidio aggravato da premeditazione, commesso in suo danno), alla pena di undici anni e quattro mesi di reclusione, oltre al o risarcimento dei danni in favore delle costituite parti civili da liquidarsi in separata sede e concessione di una provvisionale immediatamente esecutiva di euro 300.000,00; la predetta sentenza penale era stata a confermata nei successivi gradi del giudizio; - il Tribunale di Roma, XIII sezione civile, con sentenza n. 9521/2017, "dato atto della corresponsione di una provvisionale di euro 300.000,00 rivalutate all'attualità in euro 347.100,00 e della corresponsione di euro 31.978, 69 1'11.03.2010 rivalutati in euro 34.793,00", condannava ..... al pagamento del residuo credito in favore della attrice, liquidato in euro 2.114.689,00; - allo stato attuale la somma dovuta da a titolo di risarcimento del danno e di pagamento delle spese processuali era pari ad euro 2.969.653,17 e tuttavia nulla era stato corrisposto, nonostante fossero state avviate nei suoi confronti tutte le procedure esecutive previste per il recupero del credito. Ciò premesso in fatto, l'attrice invocava la responsabilità della Stato italiano, e quindi della Presidenza del Consiglio dei Ministri, per la mancata e/o non corretta e/o non integrale attuazione degli obblighi previsti dalla direttiva 2004/80/CE, e in particolare dell'obbligo, ivi previsto dall'art. 12, par. 2, a carico degli Stati membri, di introdurre, entro il 1 luglio 2005, un sistema generalizzato di tutela indennitaria, idoneo a garantire un adeguato ed equo ristoro, in favore delle vittime di tutti i reati violenti ed intenzionali, nelle ipotesi in cui le medesime fossero impossibilitate a conseguire, dai diretti responsabili, il risarcimento integrale dei danni subiti. La Presidenza del Consiglio convenuta si costituiva, tramite l'Avvocatura Generale dello Stato, eccependo l'improcedibilità della domanda risarcitoria per intervenuta cessazione della materia del contendere, per effetto dello jus superveniens costituito, in particolare, dall'art. 6 della legge n. 167/2017, in vigore dal 12.12.2017, che aveva esteso l'indennizzo — previsto dall'art. 11 , l. n. 122/2016 per tutte le vittime di reati dolosi con violenza alla persona commessi sul territorio dello Stato, in attuazione della Direttiva 2004/80/CE — anche in favore delle vittime di reati intenzionali violenti commessi in Italia successivamente al 30 giugno 2005 e prima della entrata in vigore della legge n. 122/2016. Deduceva pertanto l'improcedibilità della domanda (per cessazione della materia del contendere), stante la possibilità per l'attrice di presentare domanda di erogazione dell'indennizzo, a prescihdere dall'effettivo esercizio di tale facoltà. Nel merito, chiedeva il rigetto delle domande attoree, evidenziando come non fosse configurabile un inadempimento da parte dello Stato italiano dal momento che il legislatore aveva recepito compiutamente e correttamente la direttiva 2004/80/CE, con efficacia retroattiva; contestava, inoltre, la domanda risarcitoria anche nel quantum, rilevando come, in attuazione dell'art. 11, comma 3, l. n. 122/2016, fosse stato adottato il D.M. 22 novembre 2019, che aveva rideterminato gli importi dell'indennizzo da erogare alle vittime dei reati intenzionali violenti sulla base di parametri autonomi e diversi da quelli utilizzabili per la liquidazione "del risarcimento ordinario" . La causa, istruita mediante produzione documentale, era trattenuta in decisione all'esito dell'udienza del 30.03.2022 svolta con le modalità della trattazione scritta, previa concessione dei termini ex art. 190 cpc. Deve premettersi, in relazione alla odierna domanda risarcitoria proposta per la mancata e/o non corretta e/o non integrale attuazione degli obblighi previsti dalla direttiva 2004/80/CE, che quest'ultima impone agli stati membri dell'UE di garantire un indennizzo (equo e adeguato) a favore delle vittime di reati violenti e intenzionali, indipendentemente dal luogo della Comunità europea in cui il reato è stato commesso, nel caso in cui non sia possibile ottenere il risarcimento dei danni perché l'autore del reato non possiede le risorse necessarie per ottemperare alla condanna al risarcimento del danno oppure non può essere identificato o perseguito. La direttiva impone la creazione di un sistema per indennizzare i residenti vittime di reati violenti nel territorio del proprio Stato e non solo in situazioni transfrontaliere. Ciò detto deve escludersi che, a seguito dei sopravvenuti interventi del legislatore in materia, l'odierno giudizio possa essere definito con una dichiarazione di cessazione del contendere, pronuncia che costituisce, nel rito contenzioso civile, una fattispecie di estinzione del processo, creata dalla prassi giurisprudenziale e contenuta in una sentenza dichiarativa della impossibilità di procedere alla definizione del giudizio per il venir meno dell'interesse delle parti alla naturale conclusione del giudizio stesso, tutte le volte in cui non risulti possibile una declaratoria di rinuncia agli atti o di rinuncia alla pretesa sostanziale (cfr. Cass. 16150/2010). Se è vero che la pronuncia di cessazione della materia del contendere adottata (anche d'ufficio), quindi-senza che sia necessario-un espresso accordo delle parti, indipendentemente dalle conclusioni da queste ultime formulate, spetta tuttavia al giudice valutare l'effettivo venir meno dell'interesse delle stesse ad una decisione sul merito della vertenza (cfr. Cass. n. 19568/2017). Nel caso di specie sussiste l'interesse ad una pronuncia nel merito, atteso che l'attrice non ha chiesto il pagamento dell'indennizzo, stabilito dalla legge 122/2016 (come modificata dalla legge 167/2017), a favore delle vittime dei reati violenti, ma il risarcimento del danno derivante dall'inadempimento statuale all'obbligo di trasporre tempestivamente e correttamente la direttiva comunitaria (2004/80/CE). ln particolare, ha invocato la responsabilità dello Stato "per tardiva, incompleta ed errata trasposizione della direttiva2004/80/CE", sostenendo che l'indennizzo previsto per la fattispecie di reato subito nel 2006 sia assolutamente irrisorio ed esiguo, tale da non potere essere considerato "equo ed adeguato" Si tratta di due domande distinte per petitum e causa petendi, come rilevato dalla giurisprudenza di legittimità (cfr. Cass. n. 26757/2020; Cass. n.26303/2021 ), che ha peraltro evidenziato che la circostanza che la vittima del reato violento possa ricevere l'indennizzo, a causa dell'applicazione retroattiva della legge, non esclude che essa possa richiedere eventuali danni ulteriori subiti per effetto del ritardato adempimento dello Stato. Nel merito ritiene il Tribunale che sussista la responsabilità dello Stato italiano per tardiva e non corretta attuazione della normativa eurounitaria, nei limiti di seguito indicati. ln merito al risarcimento dei danni per violazione del diritto dell'Unione sono noti i presupposti individuati dalla Corte di Giustizia perché possa riconoscersi il diritto al risarcimento (preordinazione della norma giuridica violata ad attribuire diritti ai singoli, violazione sufficientemente caratterizzata e sussistenza del nesso causale diretto tra la violazione e il danno subito dai singoli), richiamandosi, per tutte, la nota sentenza del 5.3.1996, Brasserie di Pecheur, C-46/93 e C-48/93. Al riguardo non vi è più dubbio che l'art. 12, par. 2 della Direttiva 2004/80/CE sia una norma che obbliga gli Stati membri a dotarsi di un sistema di indennizzo delle vittime per ogni reato intenzionale violento commesso sul proprio territorio (attribuendo così diritti ai singoli) e che lo Stato italiano abbia tardivamente dato attuazione alla direttiva 2004/80/CE che ha imposto a tutti gli stati membri, entro il 1 luglio 2005, di provvedere a che le proprie "normative nazionali prevedano l'esistenza di un sistema di indennizzo delle vittime di reati intenzionali violenti commessi nei rispettivi territori, che garantisca un indennizzo equo ed adeauato delle vittime" (art. 12 comma 2). E' evidente poi che sussista un nesso causale diretto fra il mancato riconoscimento del diritto all'indennizzo attribuito ai singoli dalla direttiva e il danno (sotto forma di mancato conseguimento del beneficio) che ne possa risentire il soggetto che a quell'indennizzo aveva diritto secondo la normativa euro unitaria. La responsabilità dello Stato per omessa, incompleta o ritardata trasposizione della direttiva ha natura contrattuale da inadempimento di una obbligazione ex lege, ovvero per l'inattuazione di obblighi derivanti dalla partecipazione all'UE e comporta il conseguente obbligo al risarcimento del danno da liquidarsi anche in via equitativa qualora non sia dimostrabile nel suo preciso ammontare ex art. 1226 c.c.. Il parametro per valutare il pregiudizio patito dal soggetto danneggiato dall'inadempimento dello Stato nell'attuazione della direttiva in esame è costituito dall'ammontare dell'indennizzo di cui avrebbe avuto diritto ab origine "come bene della vita garantito dall'obbligo di conformazione del diritto nazionale a quello dell'Unione" (cfr. Cass. n. 26757/2020). La Corte di giustizia con la sentenza 16.7.2020, B.V., C-129/19 - in risposta alla questione pregiudiziale sollevata dalla Corte di Cassazione ex art. 276 TFUE con ordinanza del 29.01.2019 - ha stabilito, per quanto qui di interesse, che "l'articolo 12, paragrafo 2, della direttiva 2004/80 deve essere interpretato nel senso che un indennizzo forfettario concesso alle vittime di violenza sessuale sulla base di un sistema nazionale di indennizzo delle vittime di reati intenzionali violenti non può essere qualificato come «equo ed adeauato», ai sensi di tale disposizione, qualora sia fissato senza tenere conto della aravità delle consequenze del reato per le vittime, e non ranpresenti quindi un appropriato contributo del danno materiale e morale subìto". La sentenza 16 luglio 2020 della Corte di Giustizia ha riconosciuto agli Stati membri un certo margine di discrezionalità nel prevedere un sistema di indennizzo dei reati intenzionali violenti (anche in ragione del fatto che a tale sistema nazionale occorre assicurare la sostenibilità finanziaria), precisando che tale indennizzo non debba, necessariamente, corrispondere al risarcimento del danno che è posto a carico dell'autore del reato. Si tratta quindi di un contributo -che deve essere congruo e adeguato- posto a carico dello Stato al fine di compensare e alleviare il pregiudizio sofferto dalle vittime di reati contro la persona, particolarmente lesivi, e tuttavia non coincidente con il risarcimento che l'autore del reato è obbligato a pagare secondo la disciplina nazionale sulla responsabilità civile. Ciò detto deve ricordarsi che la legge n. 167/2017, entrata in vigore il 12.12.2017 (che ha modificato la legge n. 122/2016), ha riconosciuto l'indennizzo alle vittime di un reato intenzionale violento comune commesso successivamente al 30 giugno 2005 e prima dell'entrata in vigore della legge n. 122/2016 (ed ha peraltro previsto la possibilità di godere del beneficio anche in mancanza di preventiva escussione dell'autore del reato quando quest'ultimo sia stato ammesso al gratuito patrocinio nel procedimento penale o civile che ha accertato la sua responsabilità). È stato poi adottato, ai sensi dell'art. 11, comma 3, della legge 7.7.2016, n. 122, il decreto del Ministro dell'interno 22.11.2019, di concerto con il Ministro della giustizia e con il Ministro dell'economia e delle finanze, a entrato in vigore il 24.1.2020 (art. 3), che ha stabilito nuovi importi dell'indennizzo. Per quanto di interesse in questa sede, l'art. 1 del D.M. prevede infatti: a) per il delitto di omicidio, l'importo fisso di € 50.000; b) per il delitto di omicidio commesso dal coniuge, anche separato o divorziato, o da persona che è o è stata legata da relazione affettiva alla persona offesa, l'importo fisso di € 60.000 esclusivamente in favore dei figli della vittima; c) per il delitto di violenza sessuale, salvo che ricorra la circostanza attenuante del caso di minore gravità prevista dall'art. 609-bis, terzo comma, c.p., l'importo fisso di € 25.000; d) per il delitto di lesioni personali gravissime di cui all'art. 583, comma 2 c.p., e per il delitto di deformazione dell'aspetto della persona mediante lesioni permanenti al viso di cui all'art. 583-quinquies c.p. l'importo fisso di € 25.000 (comma 1). Tali importi possono essere aumentati di una somma equivalente alle spese mediche e assistenziali documentate, sino ad un massimo di € 10.000 (comma 2). Per delitti diversi da quelli indicati, l'indennizzo è erogato solo per la rifusione delle spese mediche e assistenziali documentate, sino ad un massimo di € 15.000 (comma 3). Parte attrice, a fronte della riapertura dei termini, nel corso del giudizio ha allegato e documentato di avere presentato domanda di indennizzo e di avere ottenuto l'importo di euro 3.022,00, pari alla differenza tra euro 35.000 (indennizzo previsto dal d.m. citato 22.11.2019 per lesioni gravissime e spese mediche) e quanto percepito dal reo (euro 31.978,69). Ha assunto che l'importo dell'indennizzo così ottenuto non possa ritenersi equo e adeguato, tenuto conto della particolare gravità delle conseguenze derivanti dal reato. Si tratta, nel caso in oggetto, di un tentato omicidio commesso dal .......... che non aveva accettato la fine della lunga relazione sentimentale con Ia .......... e che aveva continuato a molestare con telefonate e a appostamenti, fin quando, in occasione di un incontro (accettato dalla giovane donna di 27 anni nella speranza di porre fine alle continue pressioni perpetrate ai suoi danni), con premeditazione, aveva esploso nei suoi confronti diversi colpi di pistola, dai cui sono derivate lesioni gravissime, ovvero: paraplegia permanente, con perdita irreversibile della capacità deambulatoria; vescica neurologica permanente con perdita della capacità minzionale autonoma, oltre ad una menomazione dell'integrità fisiognomica. Come evincibile dalla sentenza del Tribunale di Roma, XIII sezione civile, del 12 maggio 2017, n. 9521 (cfr. doc. 4 del fascicolo di parte attrice), i postumi provocati dalla condotta criminosa del ..... sono stati valutati nella misura del 90% inteso come danno biologico ed incidono concretamente su ogni attività non lavorativa che esuli dalle normali attività esistenziali, oltre ad aver comportato la necessità di sostenere rilevanti —spese mediche documentate-nella misura di euro 15299,77 (cfr. doc. 1, memorie ex art. 183, comma 6, n. 2, c.p.c.). Risulta altresì dagli atti che la ..... svolgeva, prima dell'evento, attività di allievo -maresciallo presso la scuola CC di Velletri e che, a seguito delle lesioni riportate, era dichiarata "non permanentemente idonea al servizio di istituto nei CC in modo assoluto e da collocare in congedo assoluto". Il ctu nominato dal giudice civile riferiva poi che fosse "ragionevole prevedere che sarà necessario un costante e perenne ricorso a trattamenti fisiokinesiterapici per prevenire l'instaurarsi di rigidità articolari, mialgie diffuse o piaghe da decubito da postura obbligata". Alla luce di quanto descritto, tenuto conto in particolare delle modalità esecutive della condotta, dell'arma utilizzata, del movente del delitto (posto in essere per il solo fatto di avere interrotto una relazione sentimentale) e soprattutto dei gravissimi danni permanenti cagionati alla parte attrice, la gravità del fatto e delle conseguenze derivatene appaiono evidenti, mentre non sono emersi elementi che possano in qualche modo ridurne la portata offensiva. Si è già detto che, secondo quanto affermato dalla Corte di Giustizia nella sentenza citata del 16.7.2020, l'indennizzo, per essere ritenuto adeguato e congruo, non deve assicurare il ristoro pieno del danno da reato, ma compensare adeguatamente le sofferenze delle vittime di misura pari alla entità del pregiudizio concretamente sofferto costituendo esso un contributo pubblicistico volto ad alleviare situazioni di pregiudizio ritenute meritevoli di una speciale tutela e spettando in tale contesto, "in definitiva al giudice nazionale garantire, alla luce delle disposizioni nazionali che hanno istituito il sistema di indennizzo di cui trattasi, che la somma assegnata a una vittima di un reato intenzionale violento in forza di tale sistema costituisca «un indennizzo equo- dell'articolo 12, paragrafo 2, della direttiva 2004/80" (cfr. par. 61 sentenza cit.). Ad avviso del Tribunale l'importo previsto di € 35.000,00 (comprensivo delle spese documentate) dal d.m. 22 novembre 2019 per il delitto di lesioni personali gravissime - a fronte del danno in concreto accertato, e liquidato a titolo risarcitorio a carico dell'autore del reato con la pronuncia giudiziale citata, in euro 2.969.653,17 - appare, prima facie, non corrispondere all'indennizzo "equo ed adeguato" indicato dall'articolo 12, paragrafo 2, della direttiva 2004/80. Tale importo previsto dallo Stato italiano quale indennizzo forfettario da riconoscere alle vittime di lesioni personali gravissime non può essere qualificato- in ragione delle gravissime conseguenze derivatene nel caso concreto- "equo e adeguato", ai sensi o dell'art. 12, paragrafo 2, della direttiva citata e costituisce una grave e manifesta violazione del diritto UE che comporta la condanna dello Stato al risarcimento del danno conseguente. Riguardo al quantum, nella presente sede non può procedersi alla liquidazione integrale dal danno in concreto subito da parte attrice in conseguenza della commissione del reato. Ai fini della delicata operazione di quantificazione del danno, non può accogliersi la richiesta formulata da parte attrice di un abbattimento percentuale del 50% del danno accertato in sede giudiziale nei confronti del reo e pertanto non può liquidarsi l'ingente importo richiesto di euro 1.484.826,50, dovendo considerarsi, da un lato la gravità e le conseguenze derivate dal reato e d'altro la circostanza che la responsabilità della sua commissione non è riconducibile allo Stato, ma all'autore dell'illecito. Invero, il legislatore comunitario ha lasciato al legislatore nazionale - nel rispetto dei limiti invalicabili di equità e adeguatezza - un ampio spazio di discrezionalità nella quantificazione dell'indennizzo, dovendo tenersi conto delle specificità degli ordinamenti interni e delle situazioni socio-economiche di ciascuno degli Stati membri ed essendo necessaria una valutazione bilanciata degli interessi in gioco (la tutela dei diritti inviolabili della persona e l'interesse al contenimento della spesa pubblica, in conformità tra l'altro ai limiti imposti dalla normativa europea). ln questa situazione, appare equo individuare la misura del danno risarcibile con quella prevista dal legislatore in circostanze analoghe. Il riferimento è alla legge n.302/1990, indicata dalla stessa parte attrice, che ha previsto in favore dei soggetti che hanno subito un'invalidità permanente per effetto di ferite o lesione riportate in conseguenza di atti terroristici o di fatti delittuosi ascrivibili alla criminalità organizzata un contributo pari ad euro 2.000,00 per ogni punto di invalidità riportata, fino ad un limite a massimo di euro 200.000,00. Nel caso di specie dalla ctu svolta nel giudizio definito con la sentenza del Tribunale di Roma XIII sezione civile, n. 9521/2017 è emerso che la ........ ha riportato dei postumi permanenti valutati nella misura del 90 % e pertanto appare equo liquidare a titolo risarcitorio l'importo di euro 180.000,00. Parte attrice non ha poi specificamente allegato quale sia il danno ulteriore subito per effetto del ritardato adempimento dello Stato e pertanto nulla è dovuto a tale titolo. Al complessivo danno liquidato nella misura sopra indicata di euro 180.000,00, deve essere sottratto l'indennizzo già corrisposto pari ad euro 35.000,00 che deve essere detratto in applicazione del principio della compensatio lucri cum danno (cfr. Cass. n.26757/2020). Ne consegue che deve essere liquidato, quale sorte capitale, l'importo di euro 145.000,00 mentre, poiché la responsabilità dello Stato ha natura indennitaria ( Cass. S.U. n.9147/2009; Cass. n.23635/2014), sulla somma liquidata non può computarsi la rivalutazione monetaria, ma solo gli interessi al saggio legale a far data dalla proposizione della domanda giudiziale (13.01.2020). Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo, nei limiti dei parametri di liquidazione di cui al d.m. n.55/2014, tenuto conto del valore della domanda (in relazione al decisum) e dell'attività svolta. P.Q.M. Il Tribunale di Roma, definitivamente pronunciando, così provvede: -condanna la Presidenza del Consiglio dei Ministri al pagamento, in favore di ........ dell'importo di euro 145.000,00, oltre interessi legali dal 13.01.2020 sino al saldo; -condanna parte convenuta al pagamento delle spese del giudizio, in a favore del procuratore costituito di parte attrice dichiaratosi antistatario, liquidate in complessivi euro 8.000,00, oltre euro 1.713,00 per spese non imponibili, spese generali, iva e cpa come per legge.
Roma 19.09.2022 Il Giudice Assunta Canonaco
R.G. 4504/2020
SENT. 13501/2022
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DELLA LEGGE
COMANDIAMO
a tutti gli Ufficiali Giudiziari che ne siano richiesti ed a chiunque spetti di mettere a
Esecuzione il presente titolo, al Pubblico Ministero di darvi assistenza ed a tutti gli
Ufficiali della Forza Pubblica di concorrervi, quando ne siano legalmente richiesti
FORMULA ESECUTIVA RLASCIATA TELEMATICAMENTE SU
SENTENZA ESTRATTA DAL FASCICOLO TELEMATICO A RICHIESTA
DELL' AVV. GIANCARLO LIMA
NELL' INTERESSE DI ..................
Roma, 27/09/2022
f.to digitalmente
Il Cancelliere Esperto
Dott.ssa Concetta Tiziana Marino
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